L’idrogeno verde pone sfide che riguardano principalmente l’offerta, la domanda, ambiti in cui pesano i costi, e la distribuzione
L’obiettivo è non solo incrementare la produzione di idrogeno verde, ma anche consentire una concreta diffusione del suo utilizzo sia in ambito industriale sia nei trasporti, supportando lo sviluppo di una filiera tecnologica sostenibile che contribuisca al rafforzamento dell’economia e della competitività delle imprese coinvolte nel processo di decarbonizzazione
Le tonnellate/anno di idrogeno verde che l’Unione Europea si è prefissata di produrre internamente entro il 2030
La produzione di idrogeno verde (a fronte di una capacità installata pari a 3 GW) prevista per l'Italia entro il 2030 dagli obiettivi del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima
Per l’Italia l’idrogeno verde è un vettore chiave da inserire nel mix tecnologico che consente di favorire la decarbonizzazione
Ma le sfide che si pongono per rendere concreta la sua diffusione e il suo utilizzo sia in ambito industriale che nei trasporti richiedono maggiore impegno a livello di strategia politica
L’Italia nel 2024 ha pubblicato la Strategia Nazionale Idrogeno, che riconosce e delinea il ruolo fondamentale dell’idrogeno nel contribuire agli obiettivi di decarbonizzazione del Paese, in coerenza con gli impegni assunti nel Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) al 2030 e nel Net Zero al 2050. Il documento però lascia aperti dubbi su questioni cruciali quali la convenienza di questo vettore energetico, i cui costi, seppure previsti al ribasso, rimangono alti, e sul suo concreto utilizzo in mancanza di un sostegno della domanda. La Strategia afferma espressamente che l’idrogeno verde è un elemento chiave nel mix di soluzioni per la decarbonizzazione, che include anche la progressiva elettrificazione dei consumi energetici abbinata all’aumento della produzione da fonti rinnovabili, lo sviluppo della CCS (Carbon Capture and Storage), i biofuel, il biometano e la possibile fonte nucleare. In particolare, la Strategia a lungo termine (2040–2050) mira a una penetrazione significativa dell'idrogeno nei consumi finali, con una potenziale copertura di circa il 18% dei consumi nell’industria Hard to Abate e del 30% nel settore dei trasporti. Il piano dell’Italia punta in primis sul pieno sviluppo dell'idrogeno ottenuto da fonti rinnovabili, senza però escludere il contributo potenziale dell'idrogeno blu e di quello rosa, per coprire parte della domanda interna. Il successo di questa Strategia dipenderà da fattori come la maturità tecnologica, i costi e la disponibilità delle fonti primarie.
«Per avviare un mercato dell’idrogeno è necessario supportare la diffusione del nuovo vettore energetico con infrastrutture di produzione e trasporto adeguate, e al contempo sostenere e sviluppare il mercato che premia i prodotti green. La domanda di prodotti green diventa un traino per le aziende a investire e alimenta il circolo virtuoso della decarbonizzazione»
Cristina Maggi / Direttrice di H2IT, Associazione Italiana Idrogeno

8,35 Mtep
la potenziale produzione nazionale di idrogeno al 2050 nello scenario ottimistico per la Strategia Nazionale Idrogeno1
L’offerta di idrogeno verde
Per quanto riguarda l'offerta, cioè la produzione di idrogeno, essendo questo green gas connesso in modo imprescindibile allo sviluppo di impianti da fonte rinnovabile, e considerando la producibilità fotovoltaica ed eolica nelle diverse aree del Paese, è possibile ipotizzare una maggiore convenienza nel localizzare impianti di produzione di H₂ da fonte rinnovabile dove questi ultimi performano meglio — ad esempio, al Sud Italia per il fotovoltaico — e successivamente il trasporto dell'energia verso i siti di maggior consumo dell'idrogeno. Parallelamente all'idrogeno rinnovabile da fonti solari o eoliche, la Strategia considera anche il potenziale dell'idrogeno prodotto da fonte nucleare. Sebbene al momento la produzione di questa tipologia di idrogeno non sia abilitata in Italia, a causa dello stato di sviluppo del programma nucleare sostenibile, la Strategia sottolinea il ruolo chiave che nella produzione di idrogeno possono svolgere tecnologie nucleari di ultima generazione — come i piccoli reattori modulari (SMR), da collocare magari nel Nord Italia dove la disponibilità di energia da fonti rinnovabili è inferiore.
Dato che il costo di produzione dell’idrogeno verde è strettamente legato al costo di generazione dell'energia elettrica, la produzione di idrogeno da fonte nucleare potrebbe risultare economicamente più conveniente rispetto a quello prodotto da fonti rinnovabili come solare o eolico. Come abbiamo visto nel primo capitolo, infatti, l’idrogeno verde pone sfide legate ai costi, in particolare agli OPEX, cioè relativi alla produzione di questo green gas, che incidono per il 60-80% sul costo complessivo rappresentato dal LCOH. Per abilitare la diffusione dell’idrogeno verde risultano, perciò, decisivi sostegni nazionali ed europei che permettano di rendere competitivo il suo utilizzo.
Nucleare
2.1
Cosa sono i cosiddetti Small Modular Reactor e come sostengono la produzione di uno dei vettori chiave della decarbonizzazione
La Strategia Nazionale Idrogeno riconosce che l'importazione di idrogeno sarà indispensabile per coprire una parte della domanda interna. In particolare, l'ipotesi preliminare del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) prevede che circa il 30% dei consumi interni lordi di idrogeno possa essere coperto da importazioni. Ma questa quota potrebbe anche aumentare in ragione dell'evoluzione della disponibilità e dei costi dell'idrogeno nel contesto internazionale. Per fornire una stima preliminare degli investimenti necessari per la produzione di idrogeno in Italia, la Strategia analizza due scenari.

Primo scenario
Considera una quota di produzione nazionale molto alta, pari al 70% – corrispondente a una produzione tra circa 4,47 Mtep e 8,35 Mtep, di cui la maggior parte costituita da idrogeno verde – e a un 30% di importazione. Per realizzarla servirebbero circa 15—30 GW di elettrolizzatori che comporterebbero investimenti complessivi stimati tra gli 8 e i 16 miliardi di euro per i soli sistemi di elettrolisi. Questi elettrolizzatori, per essere alimentati, avrebbero bisogno di un contemporaneo sviluppo di nuovi impianti FER (che utilizzano cioè fonti di energia rinnovabile) in un rapporto di 1 a 3, che prevederebbe la realizzazione di circa 90 GW di impianti FER dedicati solo alla produzione di idrogeno verde (quindi da aggiungere a quelli necessari per decarbonizzare gli altri consumi elettrici, rispettando il principio di addizionalità previsto dalla direttiva RED II). Considerando il contributo di altre tecnologie di produzione di idrogeno, come quelle che impiegano Steam Methane Reforming (SMR) e Carbon Capture & Storage (CCS) e processi termochimici da biomassa, l’investimento complessivo potrebbe giungere a 13—24 miliardi di euro. Questo scenario appare decisamente sfidante visti i costi totali molto più alti rispetto a quelli richiesti per l’importazione di idrogeno verde e considerando lo sforzo necessario per realizzare gli impianti FER aggiuntivi. Il contesto però potrebbe cambiare se si avviasse una produzione nazionale da fonte nucleare di nuova generazione a prezzi più bassi.
Secondo scenario
È uno scenario con una quota minoritaria di produzione nazionale, da determinarsi in base ai costi marginali interni rispetto ai volumi importati. In questo caso — ipotizzando un'importazione di circa l'80% del fabbisogno nazionale e una produzione interna del restante 20%, se il costo marginale dell’idrogeno importato dovesse rimanere inferiore rispetto a quello interno per l’intero periodo e considerando i limiti fisici infrastrutturali italiani legati alla disponibilità di pipeline e navi adeguate — i rilevanti investimenti previsti per i sistemi di produzione indicati nel primo scenario lascerebbero spazio a un maggiore sviluppo delle infrastrutture di trasporto.
1,5 Mtep
L’ATTUALE CONSUMO all'anno di idrogeno in Italia, di cui circa il 95% prodotto e utilizzato principalmente nelle raffinerie e nell'industria petrolchimica per la strategia nazionale idrogeno2
La domanda di idrogeno verde nell’industria Hard to Abate
I principali settori in cui si può sviluppare la domanda di idrogeno verde sono l’industria e i trasporti, ciascuno con proprie dinamiche e requisiti specifici
Dell’idrogeno consumato in Italia dall’industria Hard to Abate, la quasi totalità è utilizzata nelle raffinerie e nell'industria petrolchimica, come materia prima. La restante parte è destinata la produzione di ammoniaca, soprattutto per lo sviluppo di fertilizzanti. Parliamo perlopiù di idrogeno grigio (quello verde è meno dell’1%) che, in ottica di decarbonizzazione, dovrà essere progressivamente sostituito da idrogeno rinnovabile. Emergono tuttavia nei settori hard to abate nuovi ambiti di utilizzo dell’idrogeno: la Strategia Nazionale Idrogeno, escludendo la raffinazione e la chimica, stima una potenziale domanda che potrebbe raggiungere circa 330 ktep al 2030, anche attraverso il blending dell'idrogeno verde con altri combustibili, come il gas naturale. Questo blend può essere raggiunto in due differenti modalità principali: l’immissione dell’idrogeno green nella rete gas nazionale e la miscelazione dei due gas all’interno degli stabilimenti che lo utilizzeranno. Nel contesto della rete gas italiana, attualmente è prevista l’immissione di idrogeno verde fino al 2% in volume, con l'obiettivo di estendere tale percentuale: infatti, sono già stati effettuati dei test con immissione di una miscela di gas naturale e idrogeno verde al 5%. Proprio il blending dell'idrogeno verde con il gas naturale può rappresentare il possibile volano per favorire la realizzazione degli impianti di produzione e l’utilizzo del nuovo vettore. Nel caso, invece, di settori hard to abate con produzione di idrogeno verde in loco, il blend di miscelazione non ha soglie specifiche, se non quelle legate alle caratteristiche tecniche di processi e impianti e alla garanzia della qualità del prodotto finito.
L’impatto ambientale dell’idrogeno verde nei settori energivori sarebbe significativamente positivo. Settori come quello cartario, siderurgico, chimico, ceramico, cementiero e del vetro, infatti, attraverso il blending con il gas naturale o, in prospettiva, con un utilizzo al 100% dell’idrogeno verde, possono ridurre in modo sostanziale le proprie emissioni di CO₂. Le stime più accreditate indicano che i green fuels, tra cui l’idrogeno verde appunto, potrebbero coprire fino al 35% del potenziale di decarbonizzazione complessivo nei settori Hard to Abate, mediante un mix di soluzioni tecnologiche. L’impiego di miscele contenenti fino al 20% di idrogeno in volume nei processi industriali potrebbe consentire oggi una riduzione delle emissioni di CO₂ tra il 2% e l’8% rispetto ai livelli del 2019, con percentuali superiori che porterebbero a benefici ambientali ancora più marcati.

«In Italia abbiamo già oggi le competenze e le tecnologie per utilizzare l’idrogeno rinnovabile come vettore energetico. Ad esempio, in settori ad alto valore aggiunto come quello della ceramica la sostenibilità è tra le caratteristiche più ricercate dal mercato. Questo rende più appetibile, dal punto di vista di un’azienda, l’investimento che richiede oggi la conversione all’idrogeno»
Cristina Maggi / Direttrice di H2IT, Associazione Italiana Idrogeno
Ma è soprattutto nel lungo termine, cioè al 2050, che si prevede un ruolo significativo dell'idrogeno nell'industria Hard to Abate: nello scenario più ottimistico si stima che i consumi finali di idrogeno nell’industria possano essere circa 3,71 Mtep, pari a quasi il 18% dei consumi finali complessivi dello stesso comparto (quasi 21 Mtep). In particolare, si prevede una penetrazione di poco più del 30% nella ceramica (con consumi complessivi finali pari a 3,48 Mtep), di quasi il 17% nei settori acciaio e fonderie (con consumi complessivi finali pari a 7,22 Mtep) e del 12% nel cemento e vetro (con consumi complessivi finali pari a 5,73 Mtep). Per la chimica, il fabbisogno potrebbe raggiungere 1,16 Mtep, di cui oltre 0,3 Mtep per la produzione di ammoniaca. Per favorire la diffusione di questo vettore energetico green, il sistema industriale nazionale deve intraprendere una profonda revisione dei propri processi produttivi, promuovendo una trasformazione strutturale necessaria per adattare i propri impianti alle caratteristiche dell'idrogeno. Questa trasformazione richiede investimenti mirati, un forte impegno in ricerca e innovazione, nonché una visione strategica di lungo periodo. Come per l’offerta, anche in questo contesto l’intervento pubblico — di natura normativa ed economica — riveste un ruolo essenziale nel sostenere i costi della transizione energetica e nel mitigare i rischi a carico degli operatori industriali.
Il futuro dell’industria e l’idrogeno verde
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L’idrogeno utilizzato nell’industria che dovrà provenire da combustibili rinnovabili di origine non biologica (quindi dovrà essere verde) entro il 2030, salendo al 60% entro il 2035, secondo la direttiva RED III
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La percentuale dei consumi attuali di gas naturale che potrebbe essere sostituita da 3,71 Mtep, ovvero la quantità di idrogeno verde che si stima possa essere consumata nei settori HtA al 2050

I serbatoi cilindrici sono realizzati in materiali compositi di nuova generazione, come il carbonio e la fibra di vetro, per garantire leggerezza e resistenza anche a pressioni molto elevate.

3
La domanda di idrogeno verde nei trasporti
La Strategia Nazionale Idrogeno prevede una potenziale domanda significativa di idrogeno nei trasporti, stimata in circa 6,71 Mtep al 2050 — corrispondente a oltre il 30% dei consumi finali complessivi del settore pari a quasi 21,5 Mtep. Si stima che questa domanda sia trainata principalmente dal comparto aereo (quasi 70% dei consumi finali complessivi del comparto, pari a 4,2 Mtep), trasporto su gomma di bus (in cui si prevede una domanda di idrogeno superiore al 55% rispetto ai consumi finali complessivi del comparto pari a 0,96 Mtep) e dal trasporto pesante (oltre 30% rispetto ai consumi finali complessivi pari a 8 Mtep). Seguono il trasporto ferroviario e marittimo. A sostenere la potenziale domanda nel settore aereo nel breve–medio termine è soprattutto l’ambito della logistica, dove — così come per il settore marittimo — è prevista una potenziale ampia diffusione dell’uso di idrogeno verde per alimentare i mezzi di trasporto attivi in quest’ambito e creare le premesse per lo sviluppo di una filiera dell’idrogeno. Rimanendo nel settore aereo–navale, nel medio–lungo termine, l’idrogeno potrebbe essere impiegato, in forma liquida, per il rifornimento di aerei e l’ammoniaca verde per il rifornimento di navi.
Nel trasporto ferroviario, poi, l’idrogeno si configura come un’alternativa concreta all’elettrificazione delle tratte non servite da linea elettrica, in particolare in aree rurali o montane, dove l’adeguamento infrastrutturale risulterebbe poco conveniente. Arrivando, poi, al trasporto su gomma, quest’ultimo, seppure in ottica prospettica, risulta il più concreto in quanto l’alimentazione a idrogeno verde mostra prospettive di diffusione enormi. Il segmento più interessato è quello degli autobus e mezzi pesanti a lunga percorrenza, in grado di affrontare tutte le tratte stradali, anche per esempio i valichi alpini, difficili da percorrere dai pari elettrici. Si tratta di un segmento importante: parliamo di circa 5 milioni di autocarri circolanti nel 2022, quantificati dall’Osservatorio sulla Mobilità sostenibile di Airp (Associazioni Italiana Ricostruttori Pneumatici), sulla base di dati Aci 2023. In quest’ambito l’idrogeno verde rappresenta una soluzione promettente grazie ai vantaggi offerti in termini di autonomia e minore impatto ambientale rispetto ai carburanti tradizionali.
L’idrogeno al servizio della mobilità
I mezzi a idrogeno già in circolazione in Italia nel 2023, secondo la Strategia Nazionale Idrogeno
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L’idrogeno gassoso contenuto all’incirca da un camion o un autobus, alla pressione di 350 bar — la fase di rifornimento impiega circa 10min

«L’idrogeno rinnovabile è un vettore energetico green che contribuisce alla decarbonizzazione del settore della logistica merci e della mobilità di persone. In Italia si stanno sviluppando le prime iniziative di produzione e di rifornimento di idrogeno. ALIS sostiene questa nuova filiera promuovendo un networking attivo e supportando i propri soci nel dialogo con le Istituzioni Nazionali ed europee»
Nicolò Berghinz / Team Manager e Head of Relazioni Esterne e Sviluppo di ALIS, Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile
Per consentire il diffondersi della mobilità a idrogeno è però essenziale sviluppare un'adeguata rete di infrastrutture di rifornimento. Attualmente quelle attive in Italia sono due: una a Bolzano e una a Venezia Mestre. Una terza è stata inaugurata a fine giugno 2025 sulla Milano- Serravalle, in Tangenziale Est a Carugate: si tratta della prima stazione a idrogeno della Lombardia la cui entrata in esercizio è prevista per il 2026. È necessario, dunque, incrementare significativamente questa rete in modo da consentire il rifornimento dei mezzi pesanti e autobus, attivi principalmente lungo i corridoi TEN-T (Trans-European Networks Transport — Rete transeuropea dei trasporti), che attraversano l’Italia collegandola con il resto dell’Europa. Anche per questo, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato fondi per la costruzione di almeno 40 stazioni di rifornimento (Hydrogen Refuelling Stations — HRS) entro il 2026. Ma è evidente la necessità di proseguire con piani strategici e investimenti anche oltre l’orizzonte del PNRR, in linea con quanto previsto dalla direttiva europea AFIR (Alternative Fuels Infrastructure Regulation), che mira a incentivare la diffusione di infrastrutture per combustibili alternativi come l’idrogeno.
In questo ambito, per riuscire a dare concretezza a queste soluzioni, i player del settore invocano un cambio di passo da parte della politica industriale sia europea che nazionale, in termini di maggior flessibilità normativa e maggior sostegno anche alla domanda, in modo da consentire la messa a terra dei primi progetti e l’effettivo avvio di un mercato emergente. Un elemento chiave per attivare un circolo virtuoso tra domanda e offerta è rappresentato dalla creazione di un primo nucleo operativo di veicoli a idrogeno, i cui costi però restano significativamente più elevati rispetto ai mezzi tradizionali: un mezzo pesante a idrogeno, infatti, oggi si aggira sui 500-600mila euro, cinque volte più di un pari diesel. In Francia e Germania risulta che oltre la metà del costo sia finanziato dallo Stato, quindi gli operatori sono invogliati a investire nei mezzi a idrogeno. Parallelamente si è anche già sviluppata una corposa rete di stazioni di rifornimento che permette — nella pratica — ai mezzi esistenti di circolare. In questo caso però si tratta perlopiù di idrogeno non rinnovabile.

I camion a idrogeno rappresentano una delle soluzioni più promettenti per la decarbonizzazione del trasporto pesante. Alimentati da celle a combustibile, questi veicoli emettono solo vapore acqueo e possono garantire lunghe autonomie e tempi di rifornimento rapidi
Rifornimento
2.2
Una variante delle tradizionali stazioni di rifornimento a idrogeno
4
La rete di distribuzione dell’idrogeno verde
L’Italia, grazie alla sua posizione geografica strategica nel Mediterraneo, riveste un ruolo cruciale nel contesto europeo e internazionale dell’idrogeno. Questa collocazione, unita alla disponibilità di asset infrastrutturali estesi e alla presenza di importanti snodi logistici (tra cui numerosi porti e aeroporti) le consente di proporsi come un hub fondamentale per l’importazione, la produzione e l’esportazione di idrogeno rinnovabile, fungendo da ponte tra il Nord Africa e l’Europa. In questo scenario si inserisce il Southern Hydrogen Corridor, un progetto di rilevanza strategica a livello europeo che mira a garantire l’approvvigionamento di idrogeno verde prodotto nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. È previsto infatti che il corridoio in fase di sviluppo colleghi Algeria e Tunisia con la Sicilia e, attraversando tutta la dorsale italiana, raggiunga Austria e Germania, consentendo così il trasporto efficiente dell’idrogeno rinnovabile verso i principali centri di domanda, sia italiani che dell’Europa centrale.
Per il nostro Paese, elemento chiave di questo ambizioso progetto è l’Italian Hydrogen Backbone (Dorsale Italiana per l’Idrogeno), sviluppata da Snam — una delle principali aziende italiane nel settore delle infrastrutture energetiche. Questa infrastruttura rappresenta il contributo italiano al corridoio europeo e prevede circa 2.300 km di rete principale e ulteriori 530 km di collegamenti secondari, includendo il “repurposing” di 85 km di condotte esistenti e l'installazione di nuove tubazioni “H2 ready”, per una lunghezza totale di circa 110 km. Il suo sviluppo, integrato con progetti di importazione e rigassificazione di ammoniaca, punta a favorire la creazione di una rete capillare per il trasporto di idrogeno puro, miscele e derivati, accelerando l’adeguamento del sistema infrastrutturale nazionale e rafforzando il ruolo dell’Italia nella futura economia dell’idrogeno.

Industria
2.3
La collaborazione con Edison Next sta portando allo sviluppo della prima fabbrica ceramica alimentata al 100% a idrogeno verde
Aeroporti
2.4
La collaborazione tra Edison Next e SEA, Aeroporti Milano, per la decarbonizzazione della mobilità e della logistica aeroportuale dello scalo di Milano Malpensa attraverso l’uso di idrogeno verde